L’Europa dovrà cambiare o rischierà una lenta agonia

by • 8 ottobre 2024 • ECONOMIA, In evidenzaCommenti disabilitati su L’Europa dovrà cambiare o rischierà una lenta agonia1420

Servirà il doppio del Piano Marshall del Dopoguerra, con investimenti aggiuntivi di 800 miliardi di euro l’anno anche con titoli comuni, rimuovere le barriere all’innovazione e ridurre l’eccesso di regolamentazione, superare la cronica frammentazione nazionale rafforzando drasticamente la cooperazione tra Stati, a cominciare dalla difesa.

E’ spietato il rapporto di 400 pagine sulla competitività presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea e alla stampa, alla presenza della presidente dell’esecutivo Ue Ursula von der Leyen. Un rapporto attesissimo, chiestogli dai leader Ue, previsto inizialmente per la primavera ma poi rinviato a settembre per non interferire con la scelta delle alte cariche Ue e le elezioni europee. Sarà oggetto di discussione al vertice informale dei leader Ue a novembre a Budapest. Sono 170 proposte, in parte già recepite dal programma di Von der Leyen, lei giura che resteranno la sua bussola nei mesi e anni a venire.

Serve – dice l’ex premier italianoun cambiamento radicale, urgente e concreto. Ne va dell’esistenza dell’Ue”. Si tratta dunque di “attuare il rapporto o rassegnarsi a una lenta agonia”. Il monito è netto: “i valori fondamentali dell’Europa – si legge – sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile. L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se non sarà più in grado di garantirli ai suoi cittadini avrà perso la sua ragion d’essere”.

Il quadro è inquietante. “Si è aperto un ampio divario- scrive l’ex banchiere centrale nella prefazione– tra l’Ue e gli Usa, spinto principalmente da un più pronunciato rallentamento nella crescita della produttività in Europa. Le famiglie europee hanno pagato il prezzo in termini di perdita di tenore di vita. Sulla base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all’Ue dal 2000”. Il problema è che “sono scosse le fondamenta su cui ci siamo basati”: c’è “maggiore concorrenza dall’estero e minore accesso a mercati terzi” per le imprese europee.

Il rapporto identifica tre aree primarie su cui intervenire:
La prima è la necessità che “l’Europa torni a concentrare i suoi sforzi collettivi sul superamento del divario tecnologico con Usa e Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate”. L’Europa spende troppo poco in ricerca e innovazione e frappone troppi ostacoli burocratici. Risultato: tra il 2008 e il 2021 il 30% delle società “unicorno” (le nuove imprese di altissima innovazione) fondate in Europa si sono spostate all’estero, per lo più negli Usa.

Secondo punto, fare della decarbonizzazione “un’opportunità per l’Europa”. Senza un chiaro coordinamento, “c’è il rischio che la decarbonizzazione possa opporsi alla competitività e alla crescita”, con l’occhio anzitutto ai costi ancora troppo alti dell’energia.

Terzo, l’urgenza di “incrementare la sicurezza e ridurre le dipendenze”, ad esempio sul fronte di chip e materie prime. Il rapporto chiede una “politica estera economica” per negoziare con partner affidabili, ed espandere miniere presenti in Europa (come quelle di litio in Portogallo). Quanto ai chip, il rapporto Draghi chiede una posta di bilancio Ue ad hoc. E poi, con l’aggressione russa all’Ucraina sullo sfondo, inevitabile parlare di difesa. L’industria del settore <è troppo frammentata, ostacolando la sua capacità di produrre in scala, e soffre della mancanza di standardizzazione e interoperabilità>. Alcuni esempi: in Europa si producono 12 tipi diversi di carri armati, negli Usa uno solo. L’Europa è seconda per spesa militare, ma la frammentazione riduce nettamente la sua forza reale e il 78% degli appalti di difesa vanno a Stati terzi.

Il rapporto parla di , pari al 4,4%-4,7% del pil. Per raffronto, il Piano Marshall del 1948-51 corrispondenti a circa l’1-2% del pil. Certo, serviranno capitali privati, e per questo Draghi preme per l’attuazione dell’Unione dei mercati di capitale già in programma ma arenata da mille ostacoli, è chiaro però ci vorranno capitali pubblici, e tanti. Dove trovarli? “L’Ue – dice Draghi– dovrebbe muoversi verso una regolare emissione di titoli sicuri comuni per consentire progetti comuni di investimento tra Stati membri”. Non piacerà alla Germania e i vari altri falchi, dall’Olanda all’Austria alla Finlandia. Altro nodo cruciale, l’eccesso di regolamentazione. Basti dire che il 60% delle imprese europee lamenta l’eccesso di leggi Ue come un pesante onere. Draghi chiede a Von der Leyen un vicepresidente dedicato a questo.

Infine, altra proposta che non piacerà a molte capitali, Draghi chiede agli Stati di coordinarsi molto meglio e aumentare le decisioni a maggioranza qualificata. Dove non sarà possibile andare avanti a 27, si dovrà farlo con cooperazioni rafforzate o anche accordi intergovernativi. Tutto purché l’Europa non si fermi. Altrimenti è la fine.

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