Il prossimo 10 giugno, gli occhi del mondo saranno rivolti ai Mondiali di calcio, che inizieranno solo quattro giorni dopo, ma banchieri e finanzieri guarderanno, invece, a cosa succederà nelle urne di Berna, Zurigo, Ginevra, Basilea, Lugano. Quel giorno, i cittadini elvetici saranno chiamati ad esprimersi sulla proposta di iniziativa popolare battezzata “Moneta intera“: se dovesse uscire un “Sì” potrebbe originarsi uno tsunami le cui conseguenze andrebbero ben oltre i confini della Confederazione, investirebbero l’intera Unione europea, e avrebbero forti ripercussioni soprattutto da noi, in Italia: nomi come Monte dei Paschi di Siena, Banca Etruria, Veneto Banca, strumenti come il bail-in introdotto dalla Commissione Ue o il Quantitative Easing della Banca Centrale Europea, finirebbero nei libri di Storia, nel capitolo “Come uscimmo dalla palude del debito”.
Innanzitutto, cosa vuol dire “moneta intera”, forse che quella che abbiamo in mano oggi è una moneta non completa, solo parziale? In realtà, come spiega Sergio Morandi, economista e membro del Consiglio Scientifico che ha redatto la richiesta di iniziativa popolare che andrà in votazione, “il termine indica l’origine del denaro: quando a creare moneta è la sola Banca centrale di un Paese, si parla di moneta intera. Oggi, la gran parte del denaro, circa l’80 per cento, è creato dalle banche, ma si tratta di denaro ‘virtuale’, senza legami con la realtà, con la ricchezza realmente prodotta nella società”. Una vittoria del referendum vorrebbe dire tornare ad un sistema in cui solo la Banca centrale possa creare denaro. Denaro vero, legato ad una ricchezza esistente nella realtà, non solamente sulla carta, o meglio nei file dei computer.
Il denaro come lo conosciamo oggi, invece, è “virtuale”, una serie di bit, tracce elettroniche create dalla banca quando concede un prestito, con poca o nessuna attinenza con quanto gli istituti finanziari hanno realmente disponibile nei loro forzieri. Moneta fondata sul nulla, che concorre solo ad aumentare la quantità totale di debito delle famiglie, delle imprese, di un Paese, uno Stato. Quello italiano, a fine 2017, era pari a 2256 miliardi di euro, un’enormità, ma una goccia nell’oceano se allarghiamo lo sguardo all’intero pianeta: 230mila miliardi, il 30 per cento in più da quando ha avuto inizio la crisi, oltre quattro volte il pil di un anno di tutti i paesi del mondo messi insieme. “Una situazione non sostenibile”, sostiene Konstantin Demeter, referente per il Cantone Ticino dell’iniziativa referendaria. “È impossibile ripianare un debito del genere”. Impossibile, a meno di cambiare sistema, passare alla Moneta intera, tagliando alla radice il meccanismo con cui il debito viene creato: il connubio tra banche e politica. “Permetterebbe di separare creazione di denaro e concessione di credito, e di rendere più democratico l’intero sistema”, aggiunge Sergio Morandi.
Separare creazione di denaro e concessione di credito: suona bene anche in Italia, dove proprio i legami, troppo stretti, tra politica, finanza e industria hanno portato ad un paese di fatto fallito. Con la “Moneta intera”, secondo i promotori dell’iniziativa, “le misure di politica economica verrebbero prese dai politici e dai Parlamenti, non più nel chiuso dei Consigli di amministrazione delle banche o in riunioni riservate di pochissime persone che detengono un potere non soggetto a controllo da parte dei Cittadini. È una questione di responsabilità e di trasparenza”, dice l’economista ticinese.
L’Italia fa parte dell’Unione europea, e della zona-Euro: fino a che punto, cambiare è possibile?
“L’Italia potrebbe benissimo cambiare le sue regole, affidare la creazione di denaro alla sola Banca d’Italia, pur restando all’interno della valuta comune”, risponde Morandi. A indicare la via è stato, nel 2012, uno dei maggiori esperti del settore, Thomas Mayer, economista e soprattutto ex capo dell’ufficio studi e ricerche di Deutsche Bank. “Nessuna contraddizione con con la politica monetaria della Banca Centrale Europea, o con le competenze in materia economica del Consiglio europeo. La valuta comune non subirebbe effetti negativi, al contrario ne uscirebbe rafforzata”. E con essa, anche il potere dei cittadini in contrapposizione a quello delle banche.
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