Dov’è finita l’America di “We Are the World”?

by • 29 settembre 2025 • In evidenza, OLTRE LA NOTIZIA di Pasquale Ferrara, SOCIALECommenti (0)508

“Arriva un momento in cui abbiamo bisogno di una chiamata,
quando il mondo deve tornare unito
Cè gente che muore
ed è tempo di aiutare la vita, il più grande regalo del mondo.

Non possiamo andare avanti fingendo di giorno in giorno
che qualcuno, da qualche parte, presto cambi le cose.”

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Nel 1985, il mondo si fermò per una notte a Los Angeles.
Quarantaquattro delle più grandi star della musica americana misero da parte i loro ego e si unirono per registrare un inno di solidarietà, “We Are the World“. L’obiettivo era ambizioso e chiaro: raccogliere fondi per combattere la devastante carestia in Etiopia.

di Pasquale Ferrara

L’iniziativa, nata sulla scia del successo del brano britannico “Do They Know It’s Christmas?“, divenne un fenomeno globale, vendendo oltre 20 milioni di copie e raccogliendo più di 60 milioni di dollari.

Quell’evento non fu solo un successo commerciale, ma anche un potente simbolo culturale. Rappresentava un’America che si percepiva come una forza unificante e benevola, in grado di mobilitare le sue icone per una causa umanitaria. Il messaggio era limpido: “We are the world, we are the children, we are the ones who make a brighter day“. C’era un’idea di responsabilità collettiva e di ottimismo nel potere di unire le forze per aiutare chi era in difficoltà, senza distinzioni di razza, stile musicale o estrazione sociale. L’appello a “check your ego at the door” (“Lascia l’ego fuori dalla portasignifica che dovresti mettere da parte l’arroganza, l’orgoglio e il bisogno di avere ragione o di avere il controllo per essere più aperto alle prospettive e alle idee degli altri)  non era solo un aneddoto da studio di registrazione, ma il manifesto di un’epoca che, pur con le sue contraddizioni, credeva fermamente nella possibilità di un cambiamento positivo attraverso la solidarietà.

Un cambiamento di sensibilità
Oggi, a decenni di distanza, la sensibilità sociale e politica americana sembra profondamente mutata. Il sentimento di unità e ottimismo che animava l’America del 1985 sembra quasi un ricordo lontano. Il focus si è spostato dalla solidarietà globale a una polarizzazione interna, spesso alimentata da un crescente senso di sfiducia verso le istituzioni e un dibattito acceso sui concetti di equità e meritocrazia.

Le politiche di Diversity, Equity, and Inclusion (DEI), ad esempio, sono diventate un campo di battaglia.
Mentre per alcuni rappresentano uno strumento necessario per affrontare disparità storiche, per altri sono viste come una minaccia alla meritocrazia e una forma di “discriminazione inversa”. Si è passati da un’idea di beneficenza che unisce tutti, a una battaglia ideologica in cui la sensibilità verso le minoranze e i più deboli è diventata parte di un conflitto culturale. “America First” non è più solo uno slogan politico, ma l’espressione di un sentimento diffuso che sembra mettere al primo posto gli interessi nazionali, a volte a discapito della cooperazione e della solidarietà internazionale.

Se “We Are the World” celebrava la nostra interconnessione, oggi la conversazione è spesso più frammentata e tesa, focalizzata su chi sono “noi” e chi sono “loro”.
La sfida non è più solo aiutare gli altri, ma trovare un terreno comune per decidere chi ha diritto all’aiuto e chi ha la responsabilità di fornirlo. In questo contesto, l’ingenua e potente armonia di una notte del 1985 ci appare come un’eco di un’America che forse non esiste più, un’America che credeva ancora che unendo le voci si potesse davvero “salvare la nostra stessa vita”.

We Are The World 1985 :  Il clima di solidarietà che ha caratterizzato quel momento storico.

GUARDA IL VIDEO link “We Are The World 1985”

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Articolo a cura della redazione di Costa Paradiso News. Immagini: Reuters, AFP, elaborazione interna.

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Redazione Costa Paradiso News
29 settembre 2025 alle 11:11

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