Cresce il sogno della Grande Turchia

by • 16 novembre 2022 • ESTERICommenti disabilitati su Cresce il sogno della Grande Turchia237

Il recente summit di due giorni dell’Organizzazione degli Stati turanici (Ost), segnando l’avvio del turno di presidenza dell’Uzbekistan. L’incontro è stato presentato dal capo del Dipartimento per le relazioni regionali di Taškent, Rakhmatilla Nurimbetov, che ha illustrato l’ordine del giorno dell’assise. In discussione sono lo sviluppo delle relazioni commerciali, della semplificazione dei processi burocratici legati alle tratte di trasporto e comunicazione, dell’assistenza doganale e dell’apertura di nuovi corridoi di attraversamento delle frontiere. Il tutto sarà siglato dagli Stati membri in un documento pomposamente definito la “Dichiarazione di Samarcanda”.

Prendono parte al summit dell’Ost, fondata nel 2009 come “Consiglio Turanico”, l’Azerbaigian, il Kazakistan, il Kirghizistan e la Turchia in qualità di Paesi fondatori; l’Uzbekistan si è ufficialmente unito al gruppo nel 2018, partecipando all’incontro di Baku dell’anno successivo. Si aggiungono con lo status di osservatori l’Ungheria e il Turkmenistan. La nuova denominazione dell’Ost è stata decisa un anno fa all’assemblea di Istanbul, sotto la guida del presidente Erdogan, che vede in questa collaborazione la rinascita del “sogno ottomano” della grande Turchia.

Il ministro turco degli Esteri, Mevljut Çavuşoğlu, aveva dichiarato a settembre che il Turkmenistan avrebbe partecipato come membro a pieno titolo dell’Ost, ma senza chiarire se questa formalità sarebbe stata definita a Samarcanda. Da Ašgabat è però giunto a Samarcanda l’ex presidente e capo del Senato Gurbanguly Berdymukhamedov e non il figlio, il presidente in carica Serdar, mentre da Budapest è arrivato il premier Viktor Orban.

Il prestigio del “padre della Patria” turkmeno, il cosiddetto Arkadag, che ha ceduto al figlio la guida del Paese, da un lato manifesta la grande considerazione nei confronti dell’Ost, ma d’altra parte abbassa il rango ufficiale della delegazione di Ašgabat, che si riserva comunque di rimanere a margine della piena adesione, difendendo il suo tradizionale principio di separazione e riservatezza rispetto a tutte le relazioni internazionali.

Il Turkmenistan ha sottolineato questa sua dimensione di chiusura anche di recente, quando ha chiesto alla Turchia di annullare il regime di libero ingresso senza visto tra i due Paesi, che era in vigore da oltre 15 anni, anche per meglio controllare il passaggio di cittadini non allineati con il regime dei Berdymukhamedov. Solo nel 2021 Ašgabat si era inserita nell’Ost come osservatore, e ad aprile di quest’anno Gurbanguly è entrato nel “Consiglio degli anziani” dell’Organizzazione turanica, organo direttivo della struttura.

La Turchia tiene in modo particolare al rapporto con i turkmeni, considerati i “parenti più prossimi” del neo-sultanato, e lo stesso Erdogan ha rivolto negli ultimi anni diversi appelli al Turkmenistan, per spingerlo ad una partecipazione più strutturata. Ašgabat insiste però sulla necessità di soffocare il movimento dei dissidenti turkmeni residenti in Turchia, e finchè non otterrà risultati convincenti, continuerà a rimanere in disparte.

L’unione dei Paesi turcofoni è un processo che si protrae dalla fine dell’Urss, quando il 30 ottobre 1992 ad Ankara sono stati chiamati i rappresentanti dei Paesi dell’Asia centrale che a vario titolo si riferiscono alla storia e alla tradizione culturale turanica. L’iniziatore era l’allora presidente turco Turgut Ozal, e vi avevano partecipato i primi leader post-sovietici di cinque Paesi: SaparmuratNiyazov del Turkmenistan, Islam Karimov dell’Uzbekistan, Nursultan Nazarbaev del Kazakistan, Askar Akaev del Kirghizistan e Abulfaz Elčibej dell’Azerbaigian. Non partecipa il Tagikistan, Paese centrasiatico di discendenza iranica e non turanica.

Le vicende degli ultimi anni, soprattutto il conflitto russo in Ucraina, hanno modificato profondamente il quadro generale non solo delle relazioni in Asia centrale e Turchia, ma in tutti gli equilibri post-sovietici, e il ruolo dell’Ost potrebbe diventare assai più incisivo, e non meramente simbolico come è stato finora.

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