Draghi: «Stiamo entrando in una nuova era»

by • 27 dicembre 2020 • ECONOMIA, In evidenzaCommenti disabilitati su Draghi: «Stiamo entrando in una nuova era»577

Le economie globali si avvicinano «al bordo di una scogliera»: c’è una seconda ondata anche nelle conseguenze economiche della pandemia. Dopo una prima fase, segnata da una crisi di liquidità delle imprese, segue ora una seconda, nella quale il problema sono le insolvenze, nelle quali le aziende possono rapidamente precipitare.

Le imprese dopo il Covid
È questo il tema del rapporto 2020 sulla ristrutturazione delle imprese dopo l’epidemia (Reviving and Restructuring the Corporate Sector post-Covid. Designing Public Policy Intervention), del Group of the Thirty, o G30, il think tank di consulenza su questioni di economia monetaria e internazionale nel cui steering committee, il comitato di direzione, siedono Mario Draghi, ex presidente della Bce, e Raghuram Rajan, noto economista ed ex governatore della Reserve Bank of India.

Draghi: «Una nuova era»
«Stiamo entrando in una nuova era, ha detto Draghi durante la presentazione del rapporto, nella quale saranno necessarie scelte che potrebbero cambiare profondamente le economie». Lo sforzo compiuto finora, sotto la spinta dell’emergenza, «è stato ben fatto, era necessario», ha aggiunto, ma ora occorre passare a una fase molto più delicata perché più selettiva: «Chi dovrà decidere quali compagnie dovranno essere aiutate?», è uno degli interrogativi, ha spiegato Draghi, a cui il rapporto cerca di rispondere.

Rajan: «Pensare al dopo pandemia»
«Non è troppo presto per iniziare a pensare al periodo successivo alla pandemia, ha aggiunto Rajan. Noi esortiamo a pensare alla necessità di prepararci per assicurare una sostenibilità di lungo periodo» delle imprese, «e a evitare danni collaterali».

Politiche molto selettive
Questa crisi «senza precedenti», spiega infatti il rapporto, che ha causato molta «confusione», ha già messo in tensione i bilanci pubblici e richiede ora, in questa seconda ondata di conseguenze economiche, microeconomi che, soprattutto, politiche «piene di sfumature». Ricette semplici non ce ne sono, e il rapporto «non tenta di raccomandare una singola politica», ma piuttosto «un insieme di principi», «un insieme di strumenti», e un metodo per affrontare la situazione.

Il rischio delle imprese zombie
L’avvicinarsi al «bordo della scogliera» impone in ogni caso di intervenire con rapidità. Il rischio è quello di creare «masse di imprese zombie», che sopravviveranno a stento mantenendo in piedi un’inefficiente allocazione delle risorse. La scarsità delle risorse disponibili, anche a causa delle tensioni sui conti pubblici, richiede inoltre un approccio strategico.

Puntare alle Pmi
Tocca a ogni governo, quindi, individuare le proprie priorità e definire su quali “stakeholders”, e su quale generazione (l’attuale o la futura) far cadere i costi degli interventi. Occorre disegnare politiche molto selettive. Non tutte le aziende vanno sostenute, spiega il rapporto, ma occorre scegliere quelle che possono essere redditizie dopo l’epidemia, dando particolare attenzione alle piccole e medie imprese, con minore “potere contrattuale” verso i governi, ma nello stesso tempo preziose sul piano occupazionale e produttivo, e bisogna intervenire solo in presenza di fallimenti del mercato, che possono creare elevati costi sociali.

Collaborazione pubblico-privato
Importante, per questo motivo, sarà la collaborazione pubblico-privato: solo le banche e gli investitori, spiega il rapporto, «hanno una expertise decisamente maggiore nel valutare la redditività delle aziende, e sicuramente subiscono minori pressioni politiche». Gli interventi devono puntare al capitale finanziario delle imprese (o, in alternativa, a strumenti quasi equity, come le obbligazioni convertibili, i prestiti mezzanine e simili) e meno sui prestiti, come invece è avvenuto nella prima fase, che ha creato il rischio di un sovraccarico di debiti sulle aziende.

Interventi sull’equity
La trasformazione dei debiti garantiti dallo stato in equity potrebbe essere, secondo il rapporto, una strada percorribile; anche se occorre tener presente il rischio di una selezione avversa: «Le imprese meno sane potrebbero essere più disposte a cedere capitale rispetto a quelle più forti», spiega lo studio. Il gruppo dei 30 non esclude neanche, sia pure come misura estrema, le nazionalizzazioni totali o parziali; possibilmente con criteri chiari e una definita strategia di uscita. Forme di sussidi agli investimenti in capitale, a cominciare da parziali deduzioni fiscali, sono più indicate; mentre il Future Fund britannico, lo Special Situation Fund for Startups (Ssfs) di Singapore e il 2009 Public-Private Investment Program Usa sono i modelli da guardare.

Zingales: i diritti delle minoranze
Su questo punto, durante la presentazione, Luigi Zingales, economista all’Università di Chicago, ha sollevato il problema dei diritti delle minoranze, nel capitale, che sono spesso espropriati dagli insiders. Tema che è stato riconosciuto come fondamentale dagli autori del rapporto, che hanno sottolineato la necessità di chiarezza e trasparenza in questi interventi. «È il momento giusto per farlo», ha detto Victoria Ivashina della Harvard University. «La trasparenza è molto importante, ha più in generale spiegato Rajan, ogni volta che c’è un intervento del governo, che deve seguire regole chiare».

Nuove regole sulle liquidazioni
Le misure a sostegno delle imprese dovranno essere inoltre accompagnati da nuove regole sui fallimenti in modo da introdurre nuove forme di ristrutturazione dei debiti che facciano evitare le liquidazioni. «Chapter 11 (le regole Usa, particolarmente friendly verso le imprese perché tendono a salvarle, ndr) ha lo spirito giusto», ha spiegato Douglas Eliott della Oliver Wiman, secondo il quale anche questo tipo di regole possono essere, «costose, anche in termini di tempo» e quindi insufficienti di fronte alla quantità di insolvenze che occorrerà affrontare.

Priorità alla ripresa
La durata della pandemia spinge in ogni caso ad abbandonare il focus sulla liquidità che, spiega il rapporto, permette solo di guadagnare tempo. Occorre, secondo lo studio, «concentrarsi sulla salute di lungo termine» delle imprese, incidendo su fattori strutturali; mentre sul piano macroeconomico gli interventi devono puntare in primo luogo alla ripresa. «Il modo migliore per affrontare in anticipo le difficoltà è tornare su un sentiero di crescita», ha detto Rajan. Anche gli investimenti sulla digitalizzazione o sulla sostenibilità ambientale, che segnano molti dei piani di rilancio dei governi, devono evitare di porre vincoli eccessivi alle imprese. «Possono essere molto importanti – ha sottolineato Draghi – se saranno sinergici con la ripresa».

Oltre lo status quo
Va inoltre evitata la tentazione di preservare lo status quo. Le politiche dovrebbero «richiedere, spiega il rapporto, una certa quantità di “distruzione creatrice”: alcune aziende si ridimensioneranno o chiuderanno, altre apriranno; alcuni lavoratori dovranno cambiare imprese e settori con un appropriato re-training e assistenza nella transizione».

Il nodo delle sofferenze
Non manca qualche consiglio per affrontare eventuali futuri pandemie: una riassicurazione con garanzia statale contro le interruzioni dell’attività economica, e nuovi strumenti (acquisti, garanzie, bad bank) per le sofferenze bancarie. Draghi, in particolare ha sottolineato l’importanza di affrontare il tema dei non performing loans: «Potrebbero non essere una problema per la solvenza delle aziende di credito, ma potrebbero esserlo per la loro capacità di sostenere l’economia» attraverso la concessione dei prestiti. Soprattutto alle piccole e medie imprese che, ha aggiunto, «continuano a dipendere dal sistema bancario». Un esempio positivo di gestione delle sofferenze, secondo il rapporto, può essere quello della Grecia, che ha lanciato nel 2009 la piattaforma Solar, che ha coinvolto le quattro banche sistemiche ed è stata gestita dalla italiana doValue Hellas, del gruppo doValue (Softbank, Bain, Jupiter Asset Management).

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