Il “quantitative easing” sta aiutando Francia e Italia

by • 14 febbraio 2020 • ECONOMIA, In evidenzaCommenti disabilitati su Il “quantitative easing” sta aiutando Francia e Italia467

Che il rapporto tra il governatore Christine Lagarde e la Germania non sarebbe stato semplice lo avevamo percepito prima ancora che la francese s’insediasse alla BCE, ma dai primi passi mossi a Francoforte abbiamo avuto conferma che le tensioni con il principale azionista dell’istituto, la Bundesbank, siano destinate a montare.

Non solo l’annunciata revisione del target d’inflazione manda su tutte le furie il tedesco Jens Weidmann, il quale teme che l’obiettivo possa essere mutato al rialzo; adesso, ci si mettono i dati sul “quantitative easing”. A gennaio, la BCE ha acquistato titoli per un controvalore di 20,35 miliardi di euro, in linea con i numeri lasciati in eredità da Mario Draghi.

Tuttavia, la composizione degli acquisti già di per sé stupisce. Ben il 40% riguarda il comparto corporate. Nei dettagli, i corporate bond in portafoglio salgono a gennaio di 4,6 miliardi a quota 189,12 miliardi. I covered bond emessi dalle banche dell’Eurozona aumentano di 3,7 a 267,3 miliardi. Gli Abs, al contrario, scendono di 285 milioni a 28,1 miliardi e, infine, i titoli di stato salgono di 12,3 miliardi a quota 2.115,3. Nel mese, abbiamo che le obbligazioni societarie hanno inciso per il 22,6% degli acquisti complessivi, i covered per il 18,2% e i titoli di stato per il 60,4%.

Con il primo round del QE, quello iniziato nel marzo 2015 e conclusosi nel dicembre 2018, ai titoli di stato venne riservata una quota superiore all’80%, per cui i numeri di questi primi mesi di QE2 si rivelano nettamente più bassi. Ma non è solo questa la vera sorpresa. Sempre a gennaio, ai Bund della Germania è stata dedicata una quota di appena il 3% del totale degli acquisti, quando quella teoricamente spettante sarebbe del 26%. In valori assoluti, appena 366 milioni contro 3,2 miliardi. Peggio è andata all’Olanda, i cui titoli sovrani in portafoglio sono stati ridotti di 3,9 miliardi. Anche la Spagna ha subito una forte decurtazione con una quota solo dell’1,6%.

Il segnale “politico” della BCE alla Germania
I vincitori sono stati palesemente Francia e Italia.

La prima si è beccata il 60,4% della torta con 7,4 miliardi, il triplo a cui avrebbe avuto diritto; noi il 37%, pari a 4,55 miliardi, oltre il doppio del 16% spettante. Questo significa che Francia e Italia hanno beneficiato complessivamente di acquisti a gennaio per 7,4 miliardi superiori, una deviazione significativa e che rischia di spingere alla “guerra” la Bundesbank contro Lagarde. Vero è che la Germania starebbe usufruendo di acquisti proporzionalmente maggiori per il suo mercato corporate, ma i tedeschi lamentano che la distribuzione sproporzionata degli acquisti di titoli di stato porti a una compressione artificiosa degli spread, alimentando l’azzardo morale tra i governi beneficiari.
Probabile che questi numeri risentano delle difficoltà alla BCE di trovare Bund disponibili a sufficienza e che, comunque, vi si porrà rimedio nei mesi successivi con acquisti più copiosi a favore di Germania, Olanda e altri stati fiscalmente virtuosi del Nord Europa. Se così fosse, il restringimento dello spread BTp-Bund registrato a gennaio potrebbe essere seguito da una ri-divaricazione. E se, invece, fosse un segnale “politico” lanciato a Berlino? Lagarde è tra i più critici dell’austerità fiscale tedesca, sostenendo da anni che la Germania dovrebbe contribuire alla ripresa del resto dell’Eurozona aumentando gli investimenti pubblici e/o tagliando le tasse, anziché continuare a chiudere i bilanci in attivo.

Sarebbe un’ingerenza bella e buona nella sfera fiscale, dalla quale Francoforte dovrebbe per statuto restare estranea, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato sin dallo scoppio della crisi dei debiti sovrani è che la BCE sia molto meno ortodossa di quanto la si dipinga, almeno sul piano pratico, pur mostrandosi tale su quello della retorica. E se Draghi chiuse i rubinetti della liquidità alle banche della Grecia dal febbraio del 2015, riaprendoli solo dopo che il governo Tsipras firmò un memorandum d’intesa con i partner dell’area, costringendolo sostanzialmente a capitolare, non sorprende che Lagarde stia facendo leva sullo stato forte dell’euro, affinché muti indirizzo.

Berlino non dipende certo dagli acquisti BCE, ma certo è che veda come fumo negli occhi una politica monetaria interventista e non neutrale sul mercato obbligazionario. E la francese intenderebbe far capire ai tedeschi che senza una contropartita fiscale si muoverà come meglio crede per mantenere unita l’area e al riparo da possibili nuove crisi.

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