L’Italia da una parte il Palazzo dall’altra

by • 28 gennaio 2021 • In evidenza, SOCIALECommenti disabilitati su L’Italia da una parte il Palazzo dall’altra341

Governo Conte, una fiducia piccola piccola
Diciamo le cose come stanno: c’è la fiducia, con 156 voti, ma non la stabilità. Perché con questi numeri è pressoché impossibile governare in commissione e in Aula. Davanti al governo c’è un gigantesco pantano, in grado di aumentare, se possibile, un immobilismo che dura da mesi. Già quota 161, la maggioranza assoluta, sarebbe stata un serio problema politico, in termini di solidità e coesione. Così è mero velleitarismo pensare di poter perseguire ambiziosi disegni riformatori, in un clima peraltro avvelenato dalle modalità in cui questa votazione è avvenuta. L’istituzionalizzazione di un suk, che nella giornata di oggi ha raggiunto il parossismo. Parlamentari “messaggiati” per tutto il giorno, che compaiono e scompaiono, inviti al cambio di casacca, col premier che, nelle repliche tenta di sedurre quelli in bilico promettendo la qualunque.

Sulla carta la maggioranza c’è, grazie a tre senatori a vita che, come noto, non partecipano alla quotidianità della vita parlamentare e ai novelli Scilipoti che, paradossi della storia arrivano anche da Forza Italia: Maria Rosaria Rossi, regina del “cerchio magico” del Cavaliere ai tempi d’oro e Andrea Causin, novello “tarzan” dei cambi di partito, già nel Ppi, Scelta Civica, poi Forza Italia ora chissà forse come nel Monopoli tornato alla casella di partenza. Ma una maggioranza politica non c’è più. E i numeri raccontano una franca slavina e l’inizio di una stagione di logoramento, proprio nell’ora che richiede l’intelligenza di un grande disegno e il cuore per perseguirlo.

Non è il disegno su cui il capo dello Stato aveva concesso la verifica parlamentare, perché non c’è un nuovo gruppo europeista, liberale, socialista che entra in maggioranza, ma un soccorso di singoli. E, proprio per questo, con questi numeri e questo quadro è difficile pensare anche a un profondo rimpasto senza il rischio che, mossa una carta, cada tutto il castello. Mediaticamente parlando, Renzi ha perso, però politicamente incassa il risultato parziale, si vedrà al primo voto utile, di tenere la maggioranza sul filo, in un clima da pentapartito declinante. È chiaro che Renzi non ha avuto la forza di far cadere il governo, ipotesi accarezzata eccome, aspettando fino all’ultimo prima di votare. Perché se avesse votato “no” avrebbe perso per strada un pezzo del suo gruppo. Però la situazione dei 156 voti del governo, i 140 dell’opposizione e i 16 di Italia Viva dà il senso di un a tela slabbrata.

Il governo, nato 14 mesi su presupposti ben più ambiziosi, entra in un contesto imprevedibile, vittima delle proprie macchinazioni. Perché il “raccattare tutto”, l’equilibrismo delle parole, l’assecondare appetiti e ambizioni, non è una linea, né tantomeno una visione dell’Italia. Legittimo continuare, incassata la fiducia nei due rami del parlamento. Prevedibile il rischio che questa esperienza, che nella pandemia ha trovato un ubi consistam, nella pandemia si consumi, nella misura in cui la realtà chiede solidità di governo. La crisi non è finita, anzi si avvita, trascinandosi fino al semestre bianco, quando l’impossibilità di uno sbocco elettorale renderà lecito tutto. E non è finito il suk, che riapre già domattina con la ricerca di altri parlamentari per “stabilizzare” la maggioranza. Anzi, la giornata di oggi fa compiere un salto di qualità, squadernando una non banale questione democratica, perché l’ennesima capriola trasformista di un premier non eletto dal popolo, avviene in un Parlamento non più specchio del paese e superato, nella sua “forma”, da una legge costituzionale che taglia le cosiddette poltrone. L’Italia sta da una parte. Il Palazzo dall’altra. E non si parlano.

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