Maurilio Usai: il pescatore di squali turritano

by • 4 ottobre 2018 • In evidenza, IntervisteCommenti disabilitati su Maurilio Usai: il pescatore di squali turritano13803

Una storia straordinaria.
di Argentino Tellini
Nella foto Maurilio Usai, dopo la cattura di due pescecani.
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Nel 1951 Piazza Garibaldi e i suoi budelli intorno erano una Babele vita.
In quelle vie, dirompenti di passione, le vecchie famiglie turritane convivevano con casate campane, liguri, siciliane, toscane e laziali, che nei primi decenni del 900 si erano stabilite a Porto Torres attratte dalle pescose acque del golfo dell’Asinara. Quasi tutte le case del rione emanavano un fortissimo sapore di zuppa di pesce. La domenica mattina zio Cirillo Verafede, napoletano verace, col suo giradischi moderno comprato a rate, metteva a tutto volume il suo idolo canoro Renato Carosone, specialmente la canzone “Tu vo’ fa l’americano”, trasmessa a ripetizione decine di volte. I bambini di Via Libio e Piazza Garibaldi, più vispi che mai, ballavano divertiti. A quei tempi i figli di uno erano i figli di tutti e se facevano i maleducati venivano sonoramente sculacciati dagli adulti. Intanto nessun genitore si sarebbe offeso o avrebbe protestato.

Antonio era uno reucci di Piazza Garibaldi. Smilzo, scattante e nero come la pece, giocava sempre a pallone, si fa per dire. In realtà la sfera altro non era che una vescica di maiale gonfiata, gentilmente donata dal macellaio Antonino Faedda. Antonio e suoi amici erano contenti lo stesso. D’estate giocavano scalzi e le partite iniziavano la mattina e finivano al tramonto.

Mario, figlio di un muratore tempiese, era un ragazzino di 13 anni già alto e robusto. Voleva essere l’erede del grande nuotatore turritano Angelo Occone, scomparso nel 1947 a soli 24 anni. Per allenarsi faceva delle flessioni all’ombra del più grande olmo di Piazza Garibaldi. Le ragazze si contendevano questa giovane promessa del nuoto, che già da allora faceva intuire un fisico prodigioso.

E poi c’era Gavino, diverso dagli altri coetanei. Grasso, timido e misurato, veniva vestito dalla madre come un lord inglese, con dei pantaloni corti alla moda e un’argentina elegante a giro collo, spesso bianca. Gavino osservava tutto in silenzio e spesso disegnava, con la sua matita già ricca di talento. Disegnava e sognava, in un mondo tutto suo.
A volte gli scugnizzi di Piazza Garibaldi lo canzonavano, ma ci pensava Mario a difenderlo. I due sarebbero rimasti amici per tutta la vita.

La fama di pescatore di Maurilio nel frattempo aveva fatto il giro della città. Era nato nel 1930 ad Alghero, ma nel 1936 la sua famiglia si era trasferita in Piazza Garibaldi. Sua madre si chiamava Angela Bruzzi, cagliaritana d’origine, che mise alla luce ben 22 figli, molti dei quali morti prematuramente. Maurilio aveva carpito il mestiere da suo padre e da piccolo imparò a tessere le nasse col giunco delle canne del Rio Mannu. I bambini di Piazza Garibaldi osservavano incantati la sapiente costruzione di quell’opera d’arte fatta a mano, che si tramandava da generazioni. Nelle trappole il pesce ed i crostacei erano attratti dall’esca, ma una volta entrati non riuscivano più ad uscire. Maurilio pescava anche con i palamiti: dentici, orate, spigole, di tutto. Per questo Mario, Gavino ed Antonio imploravano il giovane pescatore a portarli almeno una volta con lui: volevano assistere dal vivo ad una pesca miracolosa. Maurilio però aveva risposto sempre no, ma non per cattiveria: non voleva che quei ragazzini intraprendessero il duro mestiere di pescatore. Non voleva che avessero come lui, poco più che ventenne, la faccia dura e aggrinzita come il cuoio, solcata da profonde righe e che iniziava a rovinarsi per la salsedine del maestrale. Furono le buone maniere di Gavino a convincere il pescatore: tanto sapeva che almeno lui in seguito avrebbe potuto fare tutto, meno che andare in mare. Però ora doveva persuadere sua madre Giuseppina, una dolce casalinga col vezzo dell’arte, che stravedeva per quel figlio sensibile e delicato. Alla fine, dopo vari patimenti, lo strano quartetto salpò col gozzo S.Giovanni alle 6 e 30 del mattino del 2 Ottobre 1951. Destinazione secche di Balai, ad un miglio e mezzo dalla costa. Era una splendida giornata, il sole faceva capolino quasi solennemente, il mare era olio, una seducente tavola blu. Questo non faceva stare tranquillo Maurilio. C’era troppa calma, spesso in mare ambasciatrice di tristi avvenimenti. Il giovane algherese pensava a qualche settimana prima, quando le sue reti vennero rovinate da qualcosa di molto grosso, che una volta sazio si era divertito per disprezzo a martoriare le prede impigliate nelle reti. I tre ragazzi comunque, ignari di tutto, non vedevano l’ora di arrivare sul posto: erano euforici, anche Gavino, solitamente misurato. Appena i quattro issarono le reti si trovarono di fronte ad uno spettacolo quasi irreale. Le maglie erano completamente sfilacciate, dilaniate da misteriose fauci. I pesci grandi avevano solo la testa o la coda. Il resto se lo aveva mangiato un grosso pescecane. Si, un pescecane, uno solo, perche a questa conclusione era immediatamente giunto Maurilio: stesse impronte dei denti, gli squami e le carni bianche martoriate da una medesima forza bruta. No, non potevano essere delfini, la loro dentatura era più piccola e fine. Inoltre sulle reti non c’erano i perfetti fori lasciati dagli intelligenti mammiferi, quando banchettavano a sbafo, ma in maniera decisamente più intelligente. Mario di fronte allo scenario imprevisto cominciò ad imprecare ad alta voce, Antonio invece per il dispiacere quasi si mise a piangere, Gavino mantenne un composto contegno, ma non scordò mai l’orrenda visione. Le reti erano perdute per sempre ed i tre ragazzi al ritorno pretesero da Maurilio una rivincita: volevano la cattura e la morte dello squalo. Il giovane costruttore di nasse pensò che era giunto il momento di rompere gli indugi e di attuare ciò che aveva in mente da tempo. Una volta rientrato a casa prese dal cassetto quei quaranta ami lunghi 8 centimetri che si era fatto regalare da un amico pescatore siciliano. Ad ognuno di questi ami collegò un cavetto di acciaio lungo 30 centimetri, che si univa con gancetto ad una corda resistentissima, terminante nella sagola del palamito. Questo sarebbe dovuto essere il mortale trabocchetto per gli squali. Per tutta la giornata del 3 Ottobre Maurilio fu impegnato ad armare l’insolito palamito, sua abile invenzione. Gli ami erano posti a distanza di 35 metri l’uno dall’altro. Il giorno seguente Maurilio, con delle reti di fortuna, catturò diversi gronghi. Avrebbe potuto venderli al mercato e farci un discreto gruzzolo, ma Maurilio pensava allo squalo, che lo aveva sfidato e umiliato diverse volte. Doveva assolutamente prenderlo. La sera del 5 Ottobre usò quei pezzi di gronghi come esca del nuovo palamito, che andò a depositare a 20 metri di fondale nella consueta secca di Balai. Sapeva che quel maledetto pescecane sarebbe tornato. La notte non chiuse occhio e le sei del mattino giunsero in un baleno. Si portò con se il suo grande amico Francesco Campus: aveva bisogno di due braccia forti e di un altro pescatore esperto, forte e soprattutto discreto. Quando i due, pieni di adrenalina, cominciarono a salpare il palamito sentirono qualcosa di molto pesante impigliato fra gli ami. Qualcosa che non opponeva neanche resistenza, quasi fosse una roccia. A 5 metri dalla barca intravidero una sagoma oscura, era lunga almeno 4 metri. Moltiplicarono i loro sforzi e sotto la barca videro le fauci aperte del pescecane, i suoi occhi freddi e sanguinari. All’unisono infilarono due lunghi arpioni ai lati della bocca dello squalo e con uno sforzo immane e deciso, facendo leva sul bordo della barca, issarono il pesce a bordo. Lo squalo spalancò e chiuse le fauci due volte, in un impeto di orgoglio. Ma ingoiò solo aria fresca, che fece compagnia all’amo conficcato nel suo ventre. Per tutta la notte il pesce aveva cercato di liberarsi dalla trappola, ma più si agitava e più l’amo s’incuneava nelle sue viscere. Alla fine con rabbia lo squalo ebbe la forza di menare pochi ma tremendi colpi di coda, che quando sbatterono sul legno della barca emisero un suono sordo e sinistro. Lo squalo dopo qualche secondo smise di respirare. I suoi freddi occhi guardavano il nulla. Maurilio aveva avuto la sua rivincita. Iniziava la leggenda del pescatore di squali.

Dopo quella cattura Maurilio Usai divenne un implacabile cacciatore di pescecani, sino al momento della sua morte, avvenuta nel 2004 a 74 anni. Ne prese di tutti i tipi e li prese dappertutto, in particolar modo al largo di Balai, di Ezzi Mannu e dell’Asinara. Maurilio conosceva il Golfo come le sue tasche e fu un pescatore valente, dal coraggio straordinario. Venne aiutato in seguito dal figlio Giovanni, oggi 60 anni, pescatore disoccupato per doloroso destino, che vive nel ricordo del padre e delle loro insuperate gesta. Maurilio Usai viene ricordato da tutti come un uomo buono. Per lui il mare era tutto.

Il giovane che faceva le flessioni in Piazza Garibaldi si chiamava Mario Altana. Poteva diventare un nuotatore eccelso, fece invece il pugile, convinto da Baciccia Martellini. Sul ring era un portento, un mediomassimo veloce e tecnico, dal fisico simile ad una statua greca. Nello sport non ottenne quello che avrebbe meritato, come nella vita, densa di avventure ma sfortunata. Nel cuor suo Mario Altana non si è mai sentito un pugile. Questo inimitabile campione è’ morto povero e solo. Aveva 76 anni, quando il 20 Febbraio 2013 un infarto lo ha fulminato nel sonno.

Antonio Capasso, il giovane nero come la pece, è stato probabilmente il miglior centravanti mai nato in città. Giocò da professionista nel Sorso e fece una valanga di reti. In campo era una torpedine, fuori una persona straordinariamente mite. Di professione faceva il falegname e ci ha lasciato da pochi mesi.

Il ragazzino timido ed educato che da bambino veniva vestito come un lord inglese si chiama Gavino Sanna. E’ diventato il più grande pubblicitario del mondo ed uno dei sardi più conosciuti di sempre. Ora produce vini e cerca di trasmettere la sua immutata vena artistica ai più giovani. Gavino, 78 anni, vive insieme alla sua dolce moglie Lella e non ha ancora smesso di sognare. Il suo sogno infatti è far conoscere la Sardegna e la sua cultura in ogni angolo del pianeta.

Maurilio, Antonio, Mario e Gavino sono figli di quel mondo straordinario che era Piazza Garibaldi.

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