Sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte

by • 5 febbraio 2024 • ECONOMIA, In evidenzaCommenti disabilitati su Sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte3894

In Italia le disuguaglianze fiscali sono in aumento con i ricchi che in proporzione pagano meno tasse di chi fa fatica ad arrivare a fine mese. Il paradosso arriva da uno studio congiunto della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicato sul Journal of the European Economic Association. Nel complesso il sistema fiscale italiano appare “blandamente progressivo” e “diventa addirittura regressivo” per il 5% degli italiani più abbienti, che pagano un’aliquota effettiva inferiore al 95% dei contribuenti. Lo studio inoltre conferma che esistono importanti differenze in relazione alla tipologia di reddito prevalente: sono i lavoratori dipendenti a pagare più imposte, seguiti dai lavoratori autonomi, dai pensionati e, infine, da chi percepisce soprattutto rendite finanziarie e locazioni immobiliari.

Il rapporto combina diverse fonti di dati, quali dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia, stime sulla distribuzione del patrimonio netto, Il reddito nazionale netto così individuato, corretto per l’evasione fiscale, è stato distribuito a livello individuale. Così è stato possibile identificare le fasce di reddito che hanno perso di più negli ultimi anni. I ricercatori hanno infatti stimato che dal 2004 al 2015, mentre il reddito nazionale reale si riduceva del 15%, la metà più povera degli italiani perdeva il 30% dei suoi introiti. All’interno del 50% più povero, ad essere più colpiti sono giovani tra i 18 e i 35 anni, che hanno perso circa il 42% del loro reddito.

La disuguaglianza di genere risulta significativa per ogni classe di reddito e raggiunge valori estremi nell’1% più ricco della distribuzione, dove le donne guadagnano circa la metà degli uomini. Lo studio certifica che la metà più povera degli italiani detiene meno del 17% del reddito nazionale e vive con meno di 13 mila euro all’anno. Invece l’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari. Per i quali paga, come si diceva prima, meno tasse del 99% della popolazione. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente. Ci sono poi i “Paperoni”, 50 mila italiani che compongono lo 0.1% più ricco del Paese e detengono il 4.5% del reddito nazionale con entrate medie superiori al milione di euro annuo.

Lo studio mette a confronto anche la concentrazione dei redditi dell’Italia a livello internazionale, in particolare con la Francia e gli Stati Uniti. A destare preoccupazione il trend in diminuzione della quota di reddito detenuta dalle fasce di reddito meno abbienti. «A differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito – dice Alessandro Santoro autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano-Bicocca – in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate». Oltre a distribuire l’intero reddito nazionale, lo studio distribuisce a livello individuale anche l’ammontare delle tasse e imposte raccolte dallo Stato (Irpef, Irap, Imu, imposte sugli interessi, dividendi e tutte le transazioni finanziarie, imposte sui consumi, contributi sociali, oltre ad ulteriori imposte minori. «In questo modo – commenta Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna – abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50%. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un’aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500 mila euro annui. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito».

La minore incidenza fiscale per i redditi più elevati è spiegata principalmente da fattori come l’effettiva regressività dell’Iva (che grava meno sui cittadini abbienti che risparmiano di più) dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro; dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie e dei redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%.

In conclusione, lo studio ha messo in luce la necessità di avviare una profonda e seria discussione sullo stato attuale del sistema fiscale italiano e la necessità di una riforma in chiave più inclusiva, capace di sostenere una crescita economica sostenibile.

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