Tasse in Germania: come funzionano

by • 13 marzo 2020 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su Tasse in Germania: come funzionano8192

L’imposta personale sul reddito è la principale fonte di gettito in Germania. La sua base imponibile ricomprende i redditi da lavoro dipendente ed autonomo e da pensione, i redditi da impresa (nei casi diversi dalle società di capitali), i redditi da capitale, inclusi i canoni. Ne sono esclusi gli alimenti dovuti dai coniugi, i sussidi di disoccupazione, le borse di studio nonché i redditi inferiori per l’anno 2020 a 9.408 euro nel caso di single (o anche separati o divorziati) o a 18.816, coppie sposate, incluse le unioni civili.
Ai soli fini del calcolo delle ritenute da parte del sostituto di imposta, ogni contribuente viene assegnato a una fra sei distinte categorie in base alla propria specifica condizione familiare e reddituale.

La prima categoria comprende i single in senso lato, la seconda i single con prole, e così via. Nei casi dubbi si fa riferimento al principio di minimizzazione del carico fiscale.
Oltre la soglia esente, le aliquote variano in maniera continua fra il 14% ed il 42%.
L’aliquota più elevata si applica solo qualora il reddito superi i 57 mila euro circa per i single e i 110 mila euro per le coppie. Oltre questi livelli l’aliquota rimane inalterata fino a valori pari a circa 5 volte quei livelli, per attestarsi poi sul 45%.

La redazione della dichiarazione dei redditi è nella disponibilità del contribuente che ritenga di avere diritto a un rimborso (che viene erogato entro sei mesi). La dichiarazione è invece obbligatoria per le coppie monoreddito (o con coniuge redditualmente prevalente) o per i beneficiari di trattamenti assistenziali (per oltre 410 euro).
Non mancano alcune spese fiscali. Il tutto poggia — ed è una condizione tutt’altro che secondaria – su una amministrazione finanziaria efficiente e vicina ai contribuenti.

La progressività del sistema fiscale
«Il sistema tributario è informato a criteri di progressività», questa l’indicazione inequivoca dei padri costituenti (italiani) i quali, saggiamente, si sono tenuti sulle generali, sapendo bene che la progressività di un sistema tributario non passa solo per l’imposta sul reddito e che, soprattutto, di progressività non ce n’è una sola.
Il mondo è pieno di sistemi tributari in cui il peso della imposizione indiretta finisce per ridurre se non per annullare l’impatto di imposte personali più o meno progressive.
Il secondo punto ha a che fare con l’idea stessa del rapporto fra Stato e cittadino. Un tema che non può essere ridotto alla discussione sul numero degli scaglioni e sulle dimensioni delle aliquote relative. Ma che non si può nemmeno sperare di evitare aggrappandosi all’ultima suggestione disponibile: la cosiddetta progressività «continua» (di cui, peraltro, la progressività a scaglioni non è altro che un caso particolare).
Per progressività «continua» si intende il caso in cui l’aliquota media del prelievo cresce al crescere del reddito senza mostrare i «salti» che sono propri di una imposta a scaglioni. Evitando così che i contribuenti possano incappare in situazioni in cui ad un euro aggiuntivo di reddito imponibile possano corrispondere – anche a livelli contenuti di reddito – livelli aggiuntivi di prelievo tali da indurre il contribuente a rinunciare a lavorare o a produrre (e ad evadere). Sono situazioni tutt’altro che infrequenti anche in Italia, moltiplicate e magnificate dal sovrapporsi disordinato fra sistema tributario e sistema assistenziale.

Un esempio di progressività «continua» è certamente dato dall’imposta personale tedesca, in vigore da circa mezzo secolo, e caratterizzato da una area di esenzione data e da una aliquota media crescente al crescere del reddito imponibile. Ma non è l’unica possibilità. Progressività «continua» è anche quella – per così dire – einaudiana, ottenuta cioè combinando un’unica aliquota con un’area esente fissa in termini monetari. Anche così l’aliquota cresce al crescere del reddito. Le differenze fra i due casi sono istruttive. La prima è, per così dire, di fondo: la progressività continua einaudiana immagina che ci sia un livello massimo di prelievo oltre il quale non è possibile andare. La progressività continua alla tedesca non pone invece limiti, in linea di principio, all’aliquota media.
È una differenza, questa, valoriale. Se le imposte sono il prezzo che paghiamo per i servizi che lo Stato ci fornisce, siamo disposti a pensare che quel prezzo possa essere pari all’intero nostro reddito o quasi? Non a caso il sistema fiscale tedesco oltre determinati livelli di reddito imponibile fissa un tetto al livello di prelievo.

Redditi elevati, prelievo più alto
La seconda differenza attiene al trattamento di redditi aventi origine diversa e quindi, in un sistema come il nostro attuale, progressivo per i redditi da lavoro e da pensione e proporzionale per gli altri redditi, al rapporto fra componenti diverse del sistema tributario. Dal momento che la tassazione dei redditi da capitale non può che tenere conto della crescente mobilità dello stesso sul piano internazionale e che quindi il livello di prelievo su questa base è in qualche misura un dato, nella progressività continua einaudiana i redditi da lavoro e da pensione finirebbero per essere tassati, al massimo, come i redditi da capitale (nel presupposto implicito che questi ultimi non possono che riguardare, prevalentemente, i contribuenti più abbienti).
Nella progressività continua alla tedesca applicata al caso italiano i redditi da lavoro più elevati finirebbero per sperimentare livelli di prelievo considerevolmente più alti di quelli dei redditi da capitale nel presupposto – francamente piuttosto opinabile – che i contribuenti più abbienti condividano il fatto di disporre di risorse, in qualche senso non meglio specificato, «immeritate».

La trasparenza del sistema tributario
La terza differenza attiene invece alla trasparenza del sistema tributario ed alla sua «leggibilità» da parte dei contribuenti (cosa diversa dalla facilità di applicazione). Per conoscere il livello di prelievo – e quindi per capire se uno sforzo lavorativo in più vale la pena – i contribuenti tedeschi devono, ad esempio, servirsi di un apposito calcolatore disponibile nel sito delle Agenzia delle Entrate tedesca. Il punto è però che il sistema tedesco concentra l’attenzione sulla aliquota media e ciò può essere notevolmente fuorviante. Se il mio reddito è pari a 100 conchiglie e le imposte sono pari a 30, la mia aliquota media sarà il 30%. Se facessi un secondo lavoro potrei guadagnare 20 conchiglie in più. Supponiamo che in questo caso le mie imposte passino da 30 a 40, la mia aliquota media passerebbe dal 30% al 33%. Poca roba, apparentemente. Senonché limitare la mia attenzione all’aliquota media mi sta nascondendo il fatto che sulle 20 conchiglie addizionali ne dovrò versare ben 10 di imposta. Una aliquota marginale pari al 50%! Forse questo secondo lavoro non vale poi così la pena.
La progressività continua alla tedesca è semplice solo in apparenza. Nella realtà può rivelarsi, per il contribuente, una soluzione piuttosto opaca. Non è noto nell’immediato l’aumento di tassazione conseguente all’aumento di reddito (e cioè l’aliquota marginale). Ben diverso è il caso della progressività continua einaudiana: in quel caso l’aliquota marginale (quella pagata sulla conchiglia addizionale che vorrei guadagnare) è sempre la stessa per ogni livello di reddito e pari all’aliquota unica del sistema. Difficile sbagliarsi.

La riforma e le controindicazioni
La «leggibilità» del sistema dovrebbe interessare anche il legislatore. La progressività continua einaudiana poggia su due concetti: il reddito necessario per condurre una esistenza minimamente dignitosa (il minimo esente) e la quota massima di reddito che riteniamo accettabile attribuire allo Stato per i servizi che ci rende (l’aliquota di imposta). Due grandezze rispetto alle quali un dibattito parlamentare potrebbe essere tanto approfondito quanto intellegibile tanto dai parlamentari quanto dai loro rappresentati.
Per la progressività continua alla tedesca le cose sono invece indubbiamente meno semplici, almeno per quanto riguarda il livello di prelievo. Il legislatore sarebbe chiamato a esprimersi sui valori di una funzione quadratica (e, per i parlamentari che leggessero queste righe, una funzione quadratica non è un evento religioso con quattro lati). Salvo che non si pensi che i parametri fiscali fiscale sono cose troppo serie per essere affidate alla politica. La quarta – e significativa – differenza è che, ponendo un limite massimo all’aliquota di prelievo, la progressività continua einaudiana si presta naturalmente ad essere associata ad una fornitura onerosa dei servizi pubblici almeno per i contribuenti più abbienti. La progressività continua alla tedesca è invece compatibile con l’idea che i servizi pubblici siano universali e gratuiti e la redistribuzione sia esclusivamente opera del fisco. Due diverse visioni del mondo che hanno effetti molto differenti.
L’evocazione della progressività continua può comportare l’illusione che le riforme fiscali siano una questione essenzialmente tecnica. É un errore che solitamente conduce a soluzioni che si rivelano nel tempo confuse ed inique. Un sistema tributario deve essere compreso ed accettato dai contribuenti, cioè deve avere, prima di ogni altra cosa, valori di riferimento chiari e una propria condivisibile coerenza interna. Certo una buona tecnica tributaria è indispensabile ma non è sufficiente se non associata ad un grado di trasparenza e semplicità che renda la riforma accettabile. Quando così non è, la reazione è inevitabile e si traduce nel tentativo di aggirare il dettato legislativo fino a disapplicarlo.

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